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Essa andava da suo padre. Alla porta del magnate, volli ritirarmi, e colla disperazione nella voce le dissi addio. Ella mi ordinò di salire con lei. Quando fummo nel salotto, la mi disse:

— Signor Zapolyi, attendetemi un istante, voglio presentarvi a mio padre.

— Al principe Nyraczi?

— Al principe Nyraczi.

— Giammai.

— Perchè dunque, di grazia?

— Perchè, signora, io sono il figlio di Paolo Nagy. Io sono quel giovine disonorato, al quale vostro padre fece dare ventiquattro colpi di frusta pel delitto commesso... di aver cercato di vedervi. Non l’ho mai perdonato.

Amelia si lasciò cadere sopra una seggiola, e sembrò abbattuta. Io restai in piedi, credendo vedere lo spettro di mio padre appiccato che mi gridava: vendetta! D’un tratto la contessa si alzò, si slanciò a me d’incontro, le braccia aperte, e sclamò:

— Maurizio, io t’amo.

Da quel momento ho creduto alle visioni del paradiso.

Cinque minuti dopo, io usciva dal palazzo, e mi parve di emergere da una stella e cadere in una notte eterna. Camminai forte: avevo bisogno d’aria e di spazio. La mia vita straripava, mi soffocava. Mi fermai un momento per respirare, all’estremità di quello splendido ponte sul Danubio che congiunge Pesth a Buda. La giornata era raggiante. Il cielo mi sembrava vestito a festa, di un azzurro più limpido del solito onde rallegrarsi della festa del mio cuore. Il Danubio, dallo sguardo giallo, dall’andare tranquillo