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bre in permanenza. Le notizie della nostra patria si succedevano sempre migliori. Il Comitato di salute pubblica decretava, organizzava, armava la Guardia nazionale; un Ministero ungherese responsabile era nominato, e ne facevano parte Luigi Batthyany, il cavaliere dell’Ungheria; Deak, che più tardi doveva essere il Fabio dell’autonomia ungherese; quello Stefano Szechenyi, che durante trent’anni fu alla testa di tutti i progressi, di tutte le audacie, di tutte le grandi cose e le grandi idee del suo paese, e che la catastrofe della rivoluzione doveva colpire di follia; il principe Eszterhazy, il quale, essendo in missione come deputato della Dieta presso l’arciduca Francesco Carlo, padre dell’imperatore attuale, e pregato di attendere perchè l’arciduca pranzava, sclamò: «Sua Altezza può ben mangiare un piatto di meno, quando la monarchia è in pericolo!» Kossuth, finalmente, il cui spirito patriottico animò l’Ungheria, e le rese il sole che aveva illuminato i Giovanni Hunyad, i Giovanni Zapolya, i Francesco Rakoczy, i Bethlen, i Bocskay.

Il movimento si propagò alle altre razze, agli altri paesi della corona di Santo Stefano: Slovacchi, Ruteni, Vendi, Croati, Serbi, Valacchi, Sassoni, Siculi, Transilvani. Tutti si alzarono al fragore della grande parola: libertà! eguaglianza! Tutti benedissero l’iniziativa dei Magiari. La Dieta di Kolosvar volle avere la sua notte del 4 agosto. Il grande patriotta Nicola Wesselenyi, che usciva dalle prigioni dell’Austria, ottuagenario, cieco, sorse in mezzo ad una fremente assemblea, e sclamò, parlando dei contadini:

— Che essi non sieno più plebe! che sieno cittadini liberi.