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zurro del firmamento. Respirai, mi vestii e guardai al mio orologio. Segnava le quattro.

Le quattro, e nessun cugino! Avrebbe egli dimenticato l’ora? Alle quattro e mezzo: non uno strepito nell’aria. Avrebbe egli dimenticato il convegno? Sono le cinque: gli uccelli si svegliano, il moto degl’insetti ricomincia; ma il mio cavallo non giunge. L’avessero arrestato? Alle cinque e mezzo, non c’era essere vivente intorno a me. Ciò che io almanaccava, ciò che io sentiva in quel momento, non saprei esprimerlo: era un ditirambo di bassezza, di dolore, di paure, di sospetti, di scoraggiamento, di dilaniamento che non mi farebbe stimare l’uomo, se egli fosse un essere stimabile. L’uomo in faccia di sè stesso, solo, senza l’elettricità morale che gli comunica il contatto della società, la quale mette in giuoco l’amor proprio di lui, è obbrobioso. No: e non è la fattura di un Dio!

Ed il mio cugino? Non sarebbe egli passato prima che io giungessi, o durante il mio combattimento con l’aquila! Quel giovanetto era egli davvero mio cugino? No: e mi vendeva in quel momento. I gendarmi l’avevano arrestato.... Il vecchio prete era una spia.... E poi che cosa fare? Io non conoscevo i sentieri per andarmene a piedi a casa mia, a traverso le montagne...... E sempre l’orrida fisima, l’indegno delirio: mi hanno tradito! sono solo in mezzo all’incognito, cacciato come un lupo!

Alle sei, nessuno ancora.

Nessuno ancora, alle sei e mezzo.

Quell’agonia avrebbe invecchiato Catone — il Catone di Plutarco.

Mi levai. Il sangue correva nelle mie vene come