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Era desso mio cugino? La storia genealogica ch’egli mi aveva abbozzata era poi vera? La risaliva ad ogni modo alla terza moglie del mio bisavolo. Egli e suo zio avevano il dì innanzi udito parlare del mio arresto, nel loro paesello vicino Scalea, ed al mattino erano venuti nobilmente in mio soccorso.

Serafina aveva capito in un lampo, che occorreva darmi il tempo di allontanarmi, prima che i gendarmi e le guardie civiche mi venissero alle calcagna. Suo fratello Alberto era partito la notte, onde andare, con i miei due Albanesi, a portare a mia madre il tristo annunzio del mio arresto. Il vecchio padre, don Cataldo, era uscito di buon’ora per annasare nel borgo ciò che dicevasi e cosa decidessero sul conto mio. Serafina era subito corsa a chiudere il portone di strada ed aveva tirati li chiavistelli, dopo una parola che mio zio le aveva gettato nell’orecchio, ed ella aveva poscia sbarrato l’uno dopo l’altro gli usci di tutte le camere, fino alla sua, dove la si rinchiuse e pregò.

Un’ora dopo questa scena, io udii i gendarmi e le guardie civiche passar davanti al mio cespuglio, andando al mio inseguimento. E’ si erano sparpagliati in ogni verso, non sapendo qual sentiero avessi io preso. Le lavandaie avevano negato di avermi veduto — io aveva, passando, gettato una moneta di argento a quelle povere tupine, che la vigilia avevan voluto sbranarmi. D’altronde, in Italia, la donna è ancora la sola creatura che si abbia un’anima, una coscienza, del patriottismo senza interesse, ed un po’ di senso morale. Stanchi, esausti, abbattuti da trentotto gradi di caldo, i gendarmi fecero sosta proprio innanzi la siepe sotto la quale io era appiattato. Io udii una