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sottratti alla giurisdizione del potere giudiziario, civile e militare, senza il consentimento previo della Camera. Ora, chi sa, mio vecchio amico? Vi sarà ancora un Parlamento a Napoli: avete visto nella Gazzetta officiale del Regno, che è stato convocato....

Il capitano impallidì. Si trovava preso tra un telegramma del ministro e due articoli dello Statuto. E’ fece chiamare il sindaco.

Questo funzionario era lungo e sottile come un filo di telegrafo elettrico, strangolato nella sua cravatta, muto come una buca da lettere, notaio di professione, suonando l’organo alla chiesa per un salario di ventiquattro carlini l’anno. Egli giunse alla fine, tirandosi a rimorchio il giudice di pace ed il di lui piede sinistro addolenzito dalla podagra. I tre funzionari scarabocchiarono un processo verbale, lo fecero firmare dai testimoni, tra i quali mio zio, che dopo di averne sorvegliato la redazione, ebbe altresì la soddisfazione di firmarlo come teste. Quindi, il portone fu scardinato. Quella gente si precipitò nella corte, non senza una tale quale trepidazione. Una parte scese in cantina, un’altra salì la scala. Ma, paf! sul ballatoio, l’uscio del primo piano si chiude loro sul naso. Si batte di nuovo, si vocia un’altra intimazione, si redige un nuovo processo verbale, poi il magnano fa saltare la stanghetta della toppa ed introduce il magistrato nell’anticamera. La porta della sala da pranzo si chiuse come e’ mettevano il piede nell’anticamera. Bisognò rinovellare l’intimazione in nome del re, il processo verbale ed il resto. Breve, dopo avere violate così legalmente cinque o sei porte, si arrivò a quella della camera di Serafina.

Due ore erano passate.