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VI.


Io aveva rappresentato la mia parte, il meglio che avevo potuto; ma non nasconderò che il mio cuore andava al galoppo e che tutto mi sembrava orribilmente nero. Mi sentii alleviato, trovandomi solo. Però io non mi faceva la minima illusione sul finale del dramma. La mia prigione era la cappella del condannato. Io abbracciai di un colpo d’occhio, come i raggi solari al centro di una lente, tutta la mia vita passata, tutto ciò che mi era caro nel mondo, mia madre, mia sorella, il mio vecchio padre, la mia innamorata, poi mi vidi nel fondo d’un cortile, innanzi a quattro uomini ed un caporale, sul punto di essere fucilato come un cane arrabbiato, senza spettatori, e gettato alle gemonie. Io vidi dei quadri fantastici messi come un riverbero, in faccia della mia vita della vigilia, ricca, felice, amata, libera, scettica. Io vidi tutto ciò al di fuori di me, sentendomi sospeso al di sopra del mio essere, come si dipinge l’angelo custode aleggiando sul suo protetto. Non potei gustar nulla. Mi coricai e mi addormentai.

Il sole anch’esso coricavasi in un mare magnifico, cui tingeva di porpora.

Aprendo gli occhi all’indomani, all’aurora, esaminai la camera ove mi trovavo. Un luogo infame davvero, annerito, deturpato da caricature orribili disegnate al carbone, senza carta alle pareti, senza soffitto, quasi senza vetri alle finestre, ed un buco orrendo in un angolo.