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ucciso di una palla asciutta, ad una distanza prodigiosa. Il colpo levò uno stuolo di piccioni selvatici. Spiridione, che aveva il fucile carico a capriole, sparò a sua volta e ne stramazzò cinque o sei. In meno di dieci minuti il fuoco era acceso, e la cacciagione spiumata, rosolava sulle braci. Per me, Spiridione appese un piccione dai piedi, con una corda attaccata ad un ramo di albero, e lo lasciò arrostire girellando innanzi al fuoco. Mentre i volatili cuocevano, Demetrio varcò una siepe ed andò a cogliere alcune spighe di gran turco, che cacciò sotto le ceneri. Era il nostro pane. Il cavallo ebbe le foglie del granone, e non son mica sicuro se il suo intimo amico Spiridione non gli diede altresì a gustare un’ala o due di colombo.

Questi due esseri se la intendevano come una buona coppia parigina, in cui la moglie è il compare del marito ed il marito completa la moglie. Lungo la strada, Spiridione gli contava delle storie, gli zufolava delle canzoni. Imperciocchè, per fermo, ciò non poteva indirizzarsi a me, che non comprendevo verbo di albanese, e meno ancora a Demetrio il quale traversava un’estasi eterna.

La vita di questo bel giovane, silenzioso e tristo, era una memoria — l’amore per Aspasia che aveva lasciata a Lungro.

Finito il pasto — e che pasto! io non ne feci mai di migliori, nè alle tavole diplomatiche, nè a quelle dei cardinali, neppure a quella di Sua Eminenza Tosti, neppure alla tavola tua, mio caro Dumas, che eri il Shakespeare della cucina. — Il pranzo terminato, ci rimettemmo in via. Il sole era implacabile. Non un sospiro di brezza, non una nuvola in un cielo