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Io mi sentii sotto una potenza magnetica inesprimibile quando tutti questi occhi si appuntarono su di me. Nessuno più pensava alla cena che arrostiva, sotto forma di agnelli, davanti a questi focolari improvvisati. La fiamma rischiarava di giù in su queste singolari figure, mentre la luce cenerea della luna li bagnava d’alto in basso, producendo in questo contrasto un effetto sorprendente, un vigore di tinte, una potenza di riflessi, di angoli, di rimbalzi, di ombre, che nessuna tavolozza, niun ingegno saprebbero riprodurre. Io restai abbarbagliato. I miei due Albanesi, abituati a questi quadri, dettero allora la parola d’ordine, nella loro lingua. Gli amici, riconoscendoli, gridarono di una sola voce:

— Siate i benvenuti, fratelli!

E sedettero di nuovo sul suolo, allestendosi a sparecchiare la cena.

Dal fuoco di mezzo si staccarono allora due uomini: uno che tennesi a due passi indietro, la mano sulle pistole della sua cintura; l’altro che procedè incontro a me. E’ mi sbirciò un momento, poi sciolse il suo mantello e mi stese le due mani. Io riconobbi il mio amico, il colonnello Costabile Carducci.

Questo bravo, nobile, disinteressato patriotta — oggi obliato dai martiri scialosi rimpinziti — aveva spigolato una sessantina di Albanesi, e con questo manipolo di gente determinata, recavasi nel Cilento per ravvivarvi l’insurrezione. Io provai condurlo meco in Basilicata. Ricusò — ed e’ fu il suo cattivo od il mio buon genio che se ne mischiò.

Carducci mancò il suo intento.

Una sera, egli andò a dimandare ospitalità al suo vecchio amico, il prete Peluso di Sapri. Questo ma-