Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/323

e della Carta, erano i nostri cucinieri, i nostri guerrieri, le nostre cameriere, i nostri domestici. Gli altri contadini sembravano stupidi. Non ebbi affatto l’occasione di sperimentare se erano buoni ad altra cosa.

Un giorno, verso le cinque della sera, le nostre bande manipolavano la loro cena, quando, tutto ad un tratto, si spande il rumore che il generale Du Carne ci prendeva ai fianchi.

Il nostro comandante in capo aveva tutto previsto per custodire la porta; non si era punto curato delle finestre. Ora, i realisti, avendo convenevolmente divorato il paese fedele, sguizzavano adesso per i fianchi e venivano a ficcare il naso nelle nostre pentole. Vedendo che il nemico penetrava per Normanno e per Torraca, alla nostra destra e alla nostra sinistra, noi trovammo che il nostro mestiere diveniva una sinecura, e lasciammo degnamente il posto.

Forse lo lasciammo un po’ al passo accelerato. Ma ciò è un affare di ginnastica. Forse avremmo dovuto difenderci. Non ci si pensò guari: non si può pensare a tutto; e d’altronde, perchè incomodarci? Il fatto è che noi partimmo. Io fui, per pigrizia, uno degli ultimi a sloggiare, con i preti e i cappuccini, che facevano parte della colonna rivoluzionaria. Ve ne erano sessantacinque; essi ed i briganti si sarebbero certamente ben battuti.

Sellato il mio cavallo, l’ordinanza e i miei Albanesi pronti:

— Ove andiamo, capitano? mi dimandò il mio Siciliano.

— Al diavolo: tu lo vedi! gli risposi.

— Sì, al diavolo, mio capitano, ma per quale strada?

— Per la più corta.