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IL MARCHESE DI TREGLE


I.

Eppure è vero!


..... Sono oramai undici anni, disse Tiberio, marchese di Tregle, ponendo il suo bicchiere sulla tavola ed asciugandosi i baffi che incominciavano ad incanutire. Era il 1848. Sua Maestà siciliana aveva fatto mettere alla porta il suo Parlamento dai suoi Svizzeri, mitragliare il suo popolo dal suo esercito e coricare sotto lo stato d’assedio il suo reame. Io era insorto. Era la moda di quell’anno, del resto. Io mi trovava in Calabria.

In mia vita non ho mai esercitato un mestiere più dolce e più gradevole di quello d’insorto. Non ho mai tanto dormito. Non ho mai tanto goduto della beatitudine della postura orizzontale, quanto durante il tempo in cui sono stato rivoluzionario fra le bande calabresi. Avrei potuto dettare dei versi, se le mosche me l’avessero permesso.

Questo insetto arrogante scompigliava le mie rime.

Noi eravamo duemila bellimbusti, e occupavamo la gola formidabile che separa la provincia di Basilicata da quella di Cosenza, alla testa del ponte di Campotenese. Questi due mila messeri non avevano preso affatto la cosa sul serio, non comprendendola