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seguito di balzi dentellati e merlati. E con ciò, non sole, ma un giorno di una bianchezza cadaverica, attristata da un riverbero verdognolo.... Ecco lo stretto di Behring ed il mare polare della Siberia. Mi sentivo circondato del vago, del vuoto! Era spaventevole e splendido! Mi fermai per schizzare un abozzo e, quel giorno lì non volli andare più lontano.

Verso sera, una magnifica aurora boreale dai raggi luminosi di colori diversi, illuminò il cielo e rischiarò la mia strada fino ad un’ora avanzata della notte. Vi erano circa venti gradi di freddo. I Tsciuktscias trovavano che faceva caldo. Io arrivai alla mia tenda ove mi attendevano il sorriso amato di Cesara, un’oukha succulenta di tscir alla cipolla selvatica, qualche radici che Metek aveva dissotterrate dal ghiaccio, ed un piccolo fuoco di muschio e di ossa di balena.

Percorrendo il tundras, alle sponde del lago Yukney, Metek aveva trovato una sayba — o cassa di ghiaccio innalzata su due pilastri di pietre — contenente uno di quei depositi di pesce, di carne di renna o di orso e talvolta anche delle pelli, che si trovano soventi nella Siberia abitata da orde nomade. Si mette un segno a questi depositi onde possano essere utili ad altri viaggiatori. I nostri cani ne ebbero sollazzo e noi pure. Perocchè noi non eravamo certo ghiotti della carne di morsa, di orso bianco, o della pelle di balena di cui si regalano gli indigeni....

Arrivammo così, bene o male, al mese di maggio.

La miseria degl’indigeni della Siberia, ho potuto constatarlo, è occasionata in grande parte dal rigore feroce del clima. Ma l’imprevidenza, l’inesperienza, lo spirito di fatalismo, l’incapacità dell’uomo, vi contribuiscono largamente. «Non si evita ciò che deve