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zia l’aquila, ed avrete appena un’idea di quel magico spettacolo. Dei milioni di guglie d’ogni forma, bianche, verdi, azzurre, forate a giorno, ricamate, frangiate sul fondo grigio dell’aria! Un campo interminabile di picchi, di rocce, di piramidi di montagne, prendendo gli aspetti i più sinistri, i più strani, i più fantasticamente impossibili di castelli merlati, di templi greci, di pagode, di minareti! Qui la forma dell’orso, dell’elefante, più giù la forma del dragone, a lato la sega, o una tavola di marmo per giuocarvi la partita dei Titani, sur un tripode sottile come quello dei candelabri antichi. Poi, palle, poligoni scintillanti, un alce del mondo antidiluviano con le sue corna maravigliose, tutta la creazione dei mostri della primavera del mondo — i mammuth, i pterodattili, gli archeopterix, gl’ichtyosauri — tutta una creazione di delirio ammalato. Poi, valli profonde ove una neve rosea scintillava, o ponti sospesi; un arcipelago cosparso di fantasimi opachi e traslucidi, curvi, in piedi, inclinati, oscillanti; arcati, appoggiandosi gli uni sugli altri, ad ogiva, a pieno centro. Di lontano, un gruppo di torose di formazione recente — è questo il nome dei blocchi di ghiaccio — avendo ciascuno sul dorso uno o più orsi bianchi, derivando verso una spalancata polinas — crepaccio — che li inghiotte l’uno dopo l’altro. Più lontano ancora delle isole che camminano e vanno all’incontro l’una dell’altra, si urtano col rumore del tuono, si aggraffano, si frangono, s’inabissano. Uno scricchiolamento metallico formidabile di tempo in tempo, come migliaia di tuoni rauchi. Una battaglia di montagne in marcia. Degli interstizi di acqua azzurra, leggermente spolverati di brina. Più al di là ancora, lo spazio. Sulla costa, un