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le immagini dei Kamakay suoi amici, e ch’essi tutti passerebbero sotto gli occhi dello Czar, il quale manderebbe ad ognuno d’essi un Kamley in panno rosso.

Non ebbi mestieri aggiunger altro ed occuparmi di altro. Tutti i Kamakay del paese, a quattrocento verste intorno, accorsero per avere il loro ritratto e mi portarono regali. Ebbi tutti i ragguagli che volevo; ma sventuratamente, non affatto di mia soddisfazione.

I balenieri visitavano que’ paraggi molto irregolarmente, nè ogni anno, nè ad epoche fisse; lo stato del mare e la fortuna della pesca sopra altre coste decidevano dei loro viaggi.

Questa conoscenza più precisa della mia desolata situazione mi determinò a portare il mio accampamento sulla riva sinistra dell’Anadyr, mentre era ancora gelato, ed andare a stabilirmi più vicino del capo Orientale e della baia di San Lorenzo. Mandai Metek a scegliere il sito meno tristo di quella steppa, ove si rinvenisse un po’ di muschio per le nostre renne, ed ove il legno galleggiante non fosse nè troppo raro nè troppo lontano. Si trattava di aspettare fino al mese di agosto, forse; perocchè io aveva risoluto di non tuffarmi nell’incognito dell’America russa se non all’ultimo estremo.

Metek compiè la commissione in modo ammirabile. E alcuni giorni dopo, verso la fine di marzo, io andai ad occupare con Cesara il padiglione in pelle di renna, che Ethel mi aveva fatto innalzare vicino ad una delle numerose caverne dietro al monte Zerdzi-Kamen, tra la baia di Onemene e quella di San Lorenzo, proprio nel sito ove gli Tsciuktscias si nascosero per assassinare i Russi infami, che seguivano