Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/263

stavano due piccole slitte. Era dunque evidente che lo Tsciuktscia possedeva o aveva posseduto delle renne. Anche questo dubbio fu presto rischiarato. Alla domanda di Metek, la donna confessò che essi avevano dieci renne, forse le stesse vedute da noi qualche giorno innanzi.

Volendo ad ogni costo parlare all’abitante di quel luogo, cacciammo, aspettando l’ora del nostro colloquio con lui. Uccidemmo una volpe, due corvi, una grue, rarissima in quella stagione, e in quelle contrade. Io ritornai alla tenda, correndo. Metek ritornò alla casipola per parlare allo Tsciuktscia. I miei abiti erano umidi di traspirazione: li cacciai sotto la neve, che assorbì l’umidità e me li rese secchi come se uscissero di un forno.

Metek non riuscì nella commissione, in questo senso, che l’indigeno dimandava, in cambio delle tre renne cui consentiva cederci, del tabacco di Tsciukscia, fortissimo, o dell’acquavite di cui noi mancavamo affatto. E’ non sapeva che farsi dei rubli, cui non avrebbe potuto barattare che recandosi alla fiera di OstrovnorseFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376, vale a dire ad 800 verste all’ovest. L’indomani nonpertanto il Tsciuktscia, venne a vederci, e ci portò un mezzo argali, montone selvaggio. Ne aveva uccisi due la vigilia.

Io non fui più fortunato di Metek nel negoziato. Il selvaggio domandava adesso un fucile, o per lo manco un revolver e delle munizioni. Io non poteva disfarmi delle mie armi. Mi decisi quindi a continuare la strada coi cani, facendoli riposare qui: perocchè il Tsciukstcia mi assicurava che la contrada non mancava di selvaggiume. Ora, noi avevamo cani e fucili. L’indigeno cacciava colla picca, colle frecce,