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qualche orso bruno, che ci fiutava con una voluttà sibaritica; poi un silenzio spaventevole dappertutto. I cervi stessi ci accompagnavano come se avessero seguito un funebre corteggio.

Il cane siberiano ringhia ed urla, ma non abbaia.

Siccome diveniva sempre più urgente di dar la caccia alle renne — due dei nostri cani sanguinavano già ai piedi — così ci fermammo al sito, ove il Kholole si precipita nell’Anadyr, il sito sembrava propizio. Un cespuglio di arboscelli si prolungava quasi fino alle sponde. La spaccatura delle rocce ci presentava una grotta, che aveva servito, prima di noi, a non pochi orsi, ma che al presente trovavasi vuota. I cani digiunavano da trenta ore. Issammo dunque la slitta sul margine destro del fiume, ed accampammo nella grotta.

Il freddo era feroce, benchè in febbraio. I cani ci aiutarono a cacciare. Fummo tanto fortunati, da uccidere un lupo ed una volpe per il desinare, atteso da così lungo tempo dalla nostra muta. Ma non una renna, neppure una lepre si presentò ai nostri sguardi. Bisognò, per quel dì, contentarci di due o tre Karaki, smarriti in que’ paraggi. All’indomani, l’istessa mala ventura; ma trovammo la traccia delle renne. Questa traccia però, andando dall’est all’ovest, ci consigliò a cacciare sulla riva sinistra del fiume. Facemmo dunque gli apparecchi pel dì seguente.

In fatti, verso il mezzodì, la vista nell’aria di qualche aquila ed altri uccelli da preda, che si librano sempre sulle gregge di renne che emigrano, ci segnalò la vicinanza di queste bestie. Continuammo ad andare nella medesima direzione, e, poco dopo, un branco di renne si offerse al nostro sguardo.