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XI.


La perdita era irreparabile. Non avevamo salvo che il pemmican, e fortunatamente il calderino, la lamina di rame, l’accetta... ed altre piccole provvigioni nel fondo della slitta. Ma che dar a mangiare ai cani?

— Ho di che nudrirli per tre giorni, mormorò Metek. Noi cacceremo. Siamo in un paese che abbonda di renne selvagge, argali, orsi, che stanno per isvegliarsi presto e ci daranno, se Dio vuole, non poco travaglio. Frattanto giungeremo alle sponde de l’Anadyr.

— L’Anadyr non è una città, dissi io. Ed una volta colà, abbiamo ancora circa mille verste di fiume da discendere. Quanto ad Anadyrskoi-Ostrog, non voglio approssimarmivi.

— Nondimeno, soggiunse Metek, noi non possiamo restar qui. Saremo inseguiti. Questa notte bisogna viaggiare.

— Ma i cani sono sfiniti.

— Vado a regalarli, disse Metek.

Io vidi allora, con forte fremito, ch’egli, preso il coltello, andò a tagliare quanta più carne potè dalle parti più polpute dei cadaveri dei briganti. Egli l’accatastò tutta sotto i suoi piedi, nella slitta; poi si mise a tondere i muscoli delle braccia e delle spalle, e ne gettò a manate ai cani affamati. Che festa! Mentre quei lupi un po’ addomesticati si davano ad una vera