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vigorosa; ma questa volta non lasciammo loro il tempo di formarsi in battaglione: quando ne vedevamo tre o quattro riuniti, tiravamo sopra di loro. Ogni tre giorni facemmo sosta per cacciare e far riposare i nostri cani, che soffrivano molto pel freddo. Avevamo dugento verste da percorrere ancora, prima di arrivare all’AvadyrFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376.

Il paese abitato dai Tungusi e dai Jakuti restava indietro. Eravamo già nella regioni dei Kosiaki e dei Tsciuktscias, tribù indipendenti, gelose della loro libertà, sospettose, feroci, viventi di caccia, di pesca, delle loro renne, e, quando possono, di furto. Avevamo avuto la buona ventura di cansar l’incontro dei banditi, vale a dire i forzati evasi, che percorrono le foreste vivendo di brigantaggio e mettendo a ruba le yurte sparpagliate ed i villaggi. Avremmo noi questa cattiva sorte, traversando steppe inesplorate e inospitali? Parlavamo di ciò con Cesara, quando un giorno, verso il mezzodì, entrando in una gola di colline, la nostra guida, che conduceva la narta, fece osservare a Metek delle tracce di racchette da neve, che mostravano la loro riga cristallizzata sulla neve della notte precedente.

— Tenete le armi in ordine, mi disse Metek, sporgendo la testa nella slitta; ci va dinanzi un selvaggiume, che potria essere pericoloso.

— Che selvaggiume?

— Ma, che so io! I Tsciuktscias forse, i Kosiaki, peggio ancora, i vors scappati da Okhotsk o da Ayan.... qui non si è sicuri di nulla.

Malgrado l’allarme, viaggiammo il giorno intero senza accidenti, trovando sempre però le orme dei pattini da neve dei viaggiatori che passanoFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376 per la contrada.