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— Sia, riprese l’esaule. Non manderò corriere. Ripartite domani. Obliate tutto. Schizzate il ritratto di mia moglie, stasera.... Tutto è in punto onde partiate domani.

Infatti, partii all’indomani. Una narta, carica di viveri, di pesce secco per i cani e di una parte delle nostre provvigioni, ci precedeva. Era tirata da dieciotto magri cani di Siberia, dalle orecchie rotonde come gli orsi. La slitta, allestita con otto altri cani, seguiva la narta. Cesara ed io conservavamo il nostro veicolo.

Viaggiammo con celerità incredibile.

I pattini delle vetture erano guarniti di osso di balena; e siccome le asperità dei paludi gelati che traversavamo occasionavano qualche ritardo, così si fe’ uso dei pattini di ghiaccio — vale a dire, si versava dell’acqua sui pattini, la quale, gelando la notte, li copriva di una crosta di solido cristallo, che sdrucciolava celere e diminuiva lo stropiccio. Io aveva indossato un abito di pelliccia più caldo, per mettermi al coperto dal freddo, e Cesara era, alla lettera, seppellita sotto pelli di orso, di volpe polare e di renna. Qualche giorno dopo, arrivammo alle sponde dell’Omolone, al sito ove la Knodutuna sbocca nella riviera.

Percorrevamo una solitudine di neve. Il salice cessa di vegetare all’Omolone. Fummo assaliti dalle medesime bufere di neve, le quali divenivano tanto più veementi, inquantochè la contrada non era più frastagliata di alte catene di montagne. Era una rete di prominenze ora nude, ora gremite di sterpioFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376, nelle spaccature, di cedri nani, la cui piccola bacca saporosa forma la delizia degli orsi, degli scoiattoli e degl’indigeni. I lupi ci dettero ancora una caccia