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della sua immensa stanchezza e della terribile emozione che le aveva cagionato l’orso. Che scena!

Ella si sentì presa alle spalle, all’improvviso, e rovesciata sulla neve, mentre che l’alito bruciante e fetido del bruto l’asfissiava. Si dibattè a lungo, e riescì a sottrarsi alla stretta ed a cercar rifugio nella tenda. Ma l’orso l’atterrò, posandovisi sopra; ripresa poi Cesara, la trasportò a due passi sulla neve, leccandola orridamente, e brontolando una specie di ruru lamentevole e modulato. Cesara, terrificata, cacciò le sue unghie negli occhi dell’orso, il quale, sentendosi acciecare, montò in collera, mandò un urlo spaventevole, e cominciò a pigiarla colle sue quattro zampe, che sembravano quattro martelli a pilone di un opificio di ferro. Quella gola schiumante, quel fiato appestato, quella testa mostruosa, inchinata sulla testa livida della fanciulla, davano il racapriccio. L’orso esitava tra la smania di divorarla e quella di carezzarla. Il grido di Cesara lo faceva fremere.... Due detonazioni, simili al fulmine di Dio, avevano posto fine a quella orribile scena e salvato Cesara. —

Godemmo degli splendidi effetti del miraggio, prodotto dalla refrazione. La piccola foresta ci sembrò, animata da raggi azzurri e violetti, camminare intorno a noi. Le montagne, ora rovesciate, ora ritte in piedi, prendevano forme di fortezze o di cattedrali dai mille comignoli. Le sponde della Kolima si ravvicinavano. Un giorno, una nuvola isolata, grigia, in mezzo ad un cielo turchino profondo, s’infiammò di un tratto, e lanciò intorno, nell’interminabile firmamento, vapori biancastri. Un altro giorno, il sole si mostrò con un corteggio di quattro altri soli, legati fra loro da un arcobaleno dai colori stupendi. Il fenomeno durò due ore.