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Profittammo di questo sorriso della natura, che non si prolungò oltre ventiquattro ore per cacciare l’intera giornata con una fortuna mediocrissima, e rientrammo la sera affamati, stanchi e malcontenti. Eravamo in un vimineto, che orla il fiume, quando sembrommi udire il sordo brontolìo di un orso ed il grido acuto di una voce umana. Il mio cuore balzò forte. Avevamo lasciata Cesara sola ed il nostro orso libero, affinchè e’ cacciasse a sua volta e rimuginasse nei buchi dei sorci e delle marmotte sibilanti. Lo Czar era affatto addomesticato, e non temevamo neppur più che ci abbandonasse. Mi fermai sottoFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376, ed ascoltai. Il grugnire ed il grido risuonarono di nuovo.

— La disgrazia, che temevo, è arrivata, gridò Metek, mettendosi a correre verso il nostro accampamento.

Ne eravamo lontani tre o quattro cento metri ed i cespi dei ginepri ce lo mascheravano. Io seguii, poi precedetti Metek più spaventato di lui. In quattro salti fummo fuori del folto... Orrore!

Innanzi la tenda rovesciata vedemmo Cesara sprofondata nella neve, dibattendosi contro l’orso, che la scalpitava e la leccava orridamente. Non fu che un attimo: Metek ed io avemmo la medesima idea, presi dallo stesso terrore, ed obbliosi delle conseguenze. Prendemmo di mira l’orso: due colpi partirono nel medesimo tempo, e due palle andarono a ficcarsi nel cranio della belva. Essa fece un salto indietro, e cadde supina in tutta la sua lunghezza.

Noi corremmo a rialzar Cesara. Era svenuta.

Metek sollecitò a rialzare la tenda, riaccendere il fuoco. Io allargai le vesti della povera creatura, e