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vayask, che saltella di roccia in roccia sugli spalti della montagna.

Il versante orientale si presentava meno ripido che quello del sud, cui avevamo scalato, ma le difficoltà raddoppiavano. Nondimeno riescimmo a cavarcela, a poco a poco, grazie ad un’aurora boreale, che ci rischiarò. Nel mese di gennaio, il chiarore delle aurore boreali è meno splendente che in novembre e dicembre. Un’iride appena colorata spuntò dapprima verso il nord-est. Poi delle colonne di fuoco si slanciarono all’orizzonte, percorrendo il firmamento ora lente, ora rapide. Dei fasci luminosi si appresero al cielo, spandendo zampilli immensi di luce, che si scarmigliavano. La luna si circondò di una benda, ora verde-azzurra, ora rosa. Le trasformazioni più imprevedute si successero, e presero forme strane, di un chiarore vario sul fondo bleu-nero profondissimo della notte.

Due giorni dopo, ci fermammo all’imboccatura della Stolbovayask nella Kolima.

Eravamo talmente stanchi, la nostra vettura era talmente avariata, che io ordinai due o tre giorni di riposo, non fosse che per cacciare e provvedere ai nostri bisogni.

Adagiammo il pologhe al ricovero in un’imboccatura di basalto, vicino ad una piccola macchietta di salici erbacei e di rodondendri, costruendogli intorno un riparo di neve per assicurarlo contro la rapacità dei venti. A qualche distanza apparivano yurte di Jakuti. Un vento caldo si levò di un tratto, fenomeno singolare, che ha luogo alla metà del verno nelle vallate della Kolima e dell’Aniuy. La temperatura cangiò di botto, e passò dai 35 o 40 gradi di freddo a 5 o 6 gradi di caldo.