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condo assalto con la medesima bravura e la medesima fortuna. I lupi retrocessero: gli orsi caricarono alla loro volta. Era finita. Dieci minuti dopo, non restava più intorno a noi che delle carcasse. Ma la mia disperazione non aveva limite.

La morte delle nostre renne era la nostra morte. Noi non osavamo neppur parlare. Non avevamo più freddo, non avevamo più fame: Dio ci schiacciava. Il ritorno degli orsi venne a formar diversione alla nostra agonìa.

Essi non sembravano avvedersi di noi. Si misero senz’altro a divorare i loro nemici morti.

L’orso, in questa stagione, si trincera di ordinario nel campo fortificato, ch’e’ si prepara per irrigidirsi nella sonnolenza e restare così sino alla primavera, senza mangiare, pacifico, inoffensivo. Perchè questi due orsi si trovassero così sulla nostra via, era stato mestieri che qualche cacciatore li avesse stanati e non uccisi. Gli urli dei lupi li avevano attirati al sito della zuffa. Arrivavano dunque terribilmente affamati ed esasperati da un digiuno di due mesi. Noi restammo a considerarli, ma sotto le armi. Li avevamo soccorsi, perchè i lupi li avrebbero infallibilmente divorati, dopo aver mangiato le due renne — tanto poca cosa allo spaventevole loro appetito — , ma non eravamo punto rassicurati sulle buone intenzioni dei nostri alleati. Certi alleati sono più a temere che i nemici stessi — e noi Polacchi ne sappiamo qualche cosa. L’orso bruno si rimpinzava di carne con voracità. L’orso grigio sceglieva i suoi bocconi, li mangiava più lentamente, più pulitamente, con una certa voluttà. Esso era immenso. Quando l’orso bruno fu sazio, sbadigliò, volse le spalle, e