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gionò un momento di sorpresa in mezzo ai due campi. Ma l’attacco essendo principiato, era oramai impossibile di rimettersi in guardia. I lupi si sbrancarono in massa. Noi non avevamo ad occuparci dei nemici onesti e franchi che si facevano avanti, colla testa alta, e si trovavano per conseguenza alla portata delle zampe o dei denti degli orsi. Noi sorvegliavamo i traditori, vale a dire quelli fra i lupi che strisciavano e miravano al ventre, poco difeso, dei loro nemici. Noi facemmo fuoco su questi vigliacchi. Gli orsi esitarono un momento, udendo d’accosto a loro quell’esplosione di cui non comprendevano l’intenzione. Ma, come videro i lupi fulminati avvoltolarsi ai loro piedi, essi si persuasero dell’importanza del nostro intervento, e divennero meno cauti.

Io non saprei dipingervi questa mischia. I lupi, lanciati da tutti i lati, piovevano a cinquanta metri in circolo, schiacciati, lacerati, sventrati, col cranio fracassato, cadevano sotto le nostre palle, senza neppur gettare un urlo. Essi rincularono nella loro prima posizione.

— Se ne andranno? domandai io.

— Eh! non ancora, rispose Metek; essi hanno troppa fame.

Infatti, ritornarono alla carica, ma con minore ardore, e solamente, si sarebbe detto, per l’onore della bandiera. Sicome io non voleva sciupare la mia polvere, ora che vedevo la vittoria quasi assicurata, mi accontentai di appoggiare la canna del mio fucile al fianco dell’orso che era dal mio lato e proteggere la sua epa. Metek, che comprese la mia manovra, fece altrettanto. Gli orsi, d’altronde, non avevano più bisogno di noi. Essi sostennero il se-