Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/223

una specie di inquietudine sul sembiante di Metek, il quale si volgeva, e guardava indietro. Egli incoraggiava più che mai le renne a correre, col suo lungo scudiscio armato di spuntone.

— Cosa c’è dunque? dimandai io, alla fine.

— Guardate! rispose Metek.

Sporsi il capo fuori della slitta, e vidi tre lupi, a due trecento metri di distanza, seguirci tristamente. Avevano le code abbattute, le orecchie tese in avanti, la testa bassa, e seguitano la striscia che lasciava il nostro veicolo.

— Ebbene, sclamai io, se ci fermassimo per dimandar loro notizie dello Czar?

— Oibò! rispose Metek. Stamane era uno solo che ci teneva dietro. Più tardi ne ho veduto un altro sbadigliare alla vetta dell’argine, e poi si è messo alla coda del compagno. Più tardi ancora, un terzo si è congiunto alla compagnia. E... guardate, toyone, essi sono già quattro! E’ si fermano quando noi ci fermiamo, e conservano la distanza con rispetto. Se facciamo alto per andare a presentar loro le nostre palle devotissime, potrebbe darsi che qualcuno dei loro amici, nascosto dietro quei ginepraj, profittasse della nostra distrazione per precipitarsi sulle nostre renne e scannarle. Continuiamo dunque per la nostra via. Vedremo, alla sosta di stasera, ciò che abbiamo a fare.

Mi arresi a questa ragione. Procedemmo, ma io sporgeva di tratto in tratto il capo fuori della slitta. Il corteggio aumentava. Bentosto i quattro lupi divennero sei, poi otto, poi dieci, poi dodici, poi venti: infine, non potevamo più contarli. La situazione aggravavasi in modo sinistro. Le renne,