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gnato. Jodelle comprese probabilmente il mio progetto, poichè a bella prima sclamò: Viva la repubblica! Poi, ravvisatosi nel mio interesse, e’ mi fece delle osservazioni indirette sulla sorte terribile che pesava sui deportati che tentavano fuggire. Io tagliai corto. Tre giorni dopo, e’ mi annunziò che tre magnifiche renne erano a mia disposizione, e ch’ei m’accompagnerebbe fino a Killaem per mettere il Jakuto al mio servizio, avendolo già prevenuto di tenersi pronto a partire. Io domandai al generale il permesso di andare a caccia dell’orso. Per fortuna, Alice era indisposta. Questo permesso mi venne accordato, ed io staccai dalla panoplia dei generale una carabina appropriata a questa caccia: buon rinforzo, bell’arma inglese, di cui feci poscia rimborsare il prezzo al signor Ozeroff, che è restato mio amico.
Il 7 novembre 1865, a mezza notte meno dieci minuti, la slitta fu tratta fuori dall’alcova di Cesara per volare sulla strada di Killaem.
La notte era scura, la neve cadeva a polvere gelata, non una voce nell’aria, non una creatura vivente svegliata; io udiva il cuor di Cesara palpitare. Le detti il secondo bacio, dopo il primo che le presi, quando suo padre me la confidò come sorella. Non proferimmo una parola. Solo, a due o tre verste fuori di Jakutsk, Jodelle cantarellò: Malbrouk s’en va-t-en guerre! La mia iliade, una delle più drammatiche della vita di un uomo, cominciava.