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sopratutto del thè. Poi due accette, una sega, un laccio, una rete, due coltellacci, un calderino, uno spiedo, una marmitta, una lamina di rame per collocarla sulla neve ed accendervi su il fuoco, ed altri minuti oggetti.
La costruzione della slitta ed il suo approvvigionamento si fecero lentamente, nascondendo il tutto dietro l’alcova di Cesara. Io contavo, al peggio andare, sul viaggio di un anno, restando, bene inteso, nei recessi di un bosco nei mesi di giugno, luglio e agosto, ovvero dal mezzo maggio al mezzo settembre. Io credevo potermi dispensare di una guida e camminare dritto davanti a me, orientandomi colle stelle. Ma, dopo nuove informazioni prese e storie udite, risolsi di assoldare un Jakuto che il signor Jodelle conosceva da anni, e di cui aveva sperimentato la sagacia, la fedeltà e le cognizioni esatte delle steppe che io aveva a traversare nella Siberia del nord fino allo stretto di Behring. Il mio Jakuto aveva fatto il mestiere di cacciatore e di promichleniks, cercatore di denti di mammuth, per venti anni, ed abitava Killaem, a due hoes e mezzo (50 verste) al nord di Jakutsk, sulla Lena.
Io aveva dati tanti passaporti agli altri, in nome del governatore, potevo dunque bene appropriarmene uno alla mia volta, sotto nome russo. Feci anche di più: mi detti, per ogni ventura, una commissione del Governo di Pietroburgo: studiare e tracciare i piani della costa del golfo di Anadyr ed altri punti nello Stretto, richiedendo, all’occorrenza, l’aiuto e la protezione degli uffiziali dello Czar. Nulla mancava alla lettera di commissione: l’avevo calcata sur un’altra simile, che avevo trovata negli archivi della can-