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Cesara cucì per lei tre vestiti di flanella, sovrapposti l’uno all’altro, adattati alla pelle; su questa epidermide di flanella una camicia di pelle di renna col pelo dentro, tinta a rosso con la corteccia dell’ontano; un abito di pelle di volpe sotto un altro di pelle d’orso camosciata, col pelo dentro anch’essa: sopra tutto ciò due pellicce. Coricata nella slitta, imbacuccata così, coverta di pelle d’orso, Cesara poteva sfidare i freddi polari i più selvaggi. Ciò era l’essenziale. Se trovavamo per via delle yurte d’indigeni, potevamo poi dimandar loro un ricovero per le ore di riposo; se le yurte mancavano, la si sarebbe restata coricata nella slitta, guarentita contro tutte le intemperie, o sotto la pologue — piccola tenda in pelle di renna di due metri quadrati sopra tre di altezza, che io avvolsi ed allogai nella slitta. Mettemmo nella cassa, sotto il letto del veicolo, due abiti di state. L’estate precedente avevamo avuto un caldo di 34 gradi Réaumur.
Io aveva le mie armi: due revolver ed una carabina a due colpi, vale a dire dodici colpi, dodici vite, prima di esser obbligati a ricaricare. Cesara tirava la pistola altrettanto bene che io stesso. Con ciò, 470 cartuccie. Siccome la cacciagione e la carne non costavano quasi nulla la state, così Cesara aveva preparato una trentina di kilogrammi di pemmican, o estratto di carne, ciò che, da solo, avrebbe bastato per nudrirci quattro mesi; poi una quantità sufficiente di carne e pesce secco. Io non poteva caricare la slitta al di là di 350 kilogrammi, perchè le renne non trascinano un forte peso. Ebbi dunque a rinunziare ad una buona provvigione di acquavite. Presi un po’ di farina, del sale, del biscotto, del tabacco, e