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bevuto meno che all’ordinario, perchè il vino usurpa sull’amore. Aveva indossato il suo uniforme di gala, con tutte le sue decorazioni. I suoi mustacchi lucevano come un fiorino di zecca. Non aveva fumato che il zigaro, e anche il meno possibile, poichè l’odor di pipa non lo precedette, non l’annunziò avanti di entrare. Portava un paniere di provvisioni delFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376 pranzo. Le sue gambe, singolarmente contorte, barcollavano. Beveva già coll’imaginazione alla coppa della voluttà di cui veniva in busca. Entrò ridendo, a braccia aperte, attendendo che mia madre vi si gettasse. Il conte di Schaffner non ammetteva che mio padre, semplice soldato, semplice colono, potesse essere trenta volte più conte di lui, — conte di fabbrica imperiale — e quindi che mia madre non dovesse essere profondamente riconoscente degli abbracci ch’egli si sarebbe degnato di darle. Un lieve rumore gli fece volgere il capo.

Era mio padre, che chiudeva la porta dietro di sè.

Il colonnello si fermò di botto, e gli caddero le braccia. Non contava proprio sopra un simile testimone della sua felicità.

La nostra casa, posta in mezzo ad un ampio verziere, si componeva di tre stanze: un piano solo, ma una cantina al dissotto. Era situata all’estremità del villaggio. Non c’erano vicini. Delle colline sovrapposte una all’altra, sfrangiavano sull’orizzonteFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376 azzurro. Era il mese di maggio: gli arbusti, gli alberi, i fiori delle aiuole che circondavano la casa, tutto cantava, ed attirava gli sguardi sotto i baci della primavera.

Dopo aver chiuso a chiave la porta, mio padre andò a chiuder pure la finestra. Mia madre accese due candele. Io guardavo, ritto sulla soglia dell’uscio.