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Questo generale, aspettando l’asciolvere, si mise un mattino a sfogliare l’album che io aveva regalato alla signora Jukowski, esposto in vista sur una tavola nel salone. Egli fece i suoi complimenti a questa dama, da uomo galante, sulla ricchezza del suo album. Io entrava proprio allora per parlare al generale. Madama Jukowski mi presentò al suo ospite, il generale Ozeroff....
La scattò come una palla, e fu accordato su due piedi per un movimento irreflessivo, ma irrevocabile: il generale Ozeroff mi chiese al suo collega per dare delle lezioni di disegno alle sue figliuole! Il generale Jukowski mi consegnò, da una mano all’altra, come una delle curiosità cinesi dei suoi stipi. Madama Jukowski non ebbe neppure il tempo di gridare: «E le mie polke! chi dunque suonerà i miei Lanciers?» Io aveva cangiato di proprietario. Non restava più che una piccola formalità di cancelleria da compiere per mutare il mio numero, e tutto era in ordine. Non si diedero neppure la pena d’interrogarmi, di chiedere il mio avviso, benchè io mi fossi presente! — E’ non si trattava più di un uomo.
Essi mi avevano non pertanto fulminato.
Dopo la morte del colonnello, l’amor mio per Cesara aveva acquistato l’intensità di una passione irresistibile. Nel rantolo dell’agonia, il padre mi aveva supplicato di proteggere sua figlia. Io lo aveva promesso.
— Voi la sposerete! fu l’ultima parola del vegliardo.
— La sposerò! fu l’ultima parola che egli potè udire sulla terra.