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simultaneo sentimento istintivo, e le labbra di Cesara e le mie si toccarono.
— Ve lo giuro sul patibolo di mio padre, colonnello, sclamai io, io sarò un fratello per la figliuola vostra, un figlio per voi.
All’indomani, aiutato da un falegname, cominciai ad aggiungere una stanzuccia alla capanna del colonnello. Due settimane dopo, io aveva un focolare. La consolazione entrò nella famiglia. Cesara vi spandeva talvolta la gaiezza: ella cantava con voce meravigliosa i nostri vecchi inni polacchi. Io non parlava più di evadermi, o piuttosto ne parlavamo come di un progetto aggiornato ad un’epoca indeterminata. Perchè? Ho bisogno di dirvelo?
La primavera, la state passarono senza incidenti. Io aveva conquistato la stima del generale Jukowski, l’affezione della parte femminina della sua casa, la benevolenza dell’istituto ove insegnavo, e la simpatia di tutta la città, senza mettervi gran che del mio, conservando una dignità molto vicina alla fierezza. Vivevamo nell’agiatezza. Il signor Astatchef mi aveva regalato 500 rubli per la memoria che io aveva redatta sulle sue note, completandole, e che egli aveva trovata di pieno suo gusto ed aveva già indirizzata al Governo, a Pietroburgo. I miei 1000 rubli erano quasi al completo. Sgorbiavo ritratti, che mi si pagavano, e dei bozzetti di paesaggio o caricature per gli album delle dame di Yrkutsk, che io offriva quando elleno me li dimandavano. Due avvenimenti vennero ad offuscar questo cielo radioso.
Alla fine di agosto, il colonnello morì subitamente, di un’aneurisma al cuore.
Nel mese di settembre, arrivò il generale Ozeroff, governatore di Jakutsk.