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— Ecco la patria, sclamai io. Ora supponete che, invece dello Czar, fosse l’imperatore di Austria od il Sultano che imperasse al vostro villaggio, come vostro padrone... e conchiudete.

Il capitano non fiatò più, e mi fece segno di andare a lavorare. Quel bruto mi sembrò sconcertato.

L’inverno fu aspro, ed io ne sentii tutto il rigore, lavorando quasi sempre all’aria aperta. Ma non ne fui incomodato. Ero ben coperto. Mi davo un nutrimento sostanziale. Il capitano, per una ragione o per un’altra, trovava sempre un pretesto di destinarmi ad un’altra occupazione, anzichè a quella assai penosa di issare la gerla a minerale. Io impiegavo la mia settimana di vacanza a costruirmi una baracca per me solo, ed il legno non mi costava che la pena di andarlo a tagliare sulla montagna e trascinarlo.... E sempre facendo sembiante di assestarmi definitivamente e di rassegnarmi alla mia sorte, io prendeva delle misure per svignarmela.

L’evasione non presentava alcun ostacolo invincibile: non avevo che a seguire il corso della Schilka ed abbordare la thalweg dell’Amour, ove comincia la frontiera cinese — la Mandchuria. Formai i miei piani; tirai le mie linee. Rimisi la realizzazione del mio progetto al mese di marzo, quando il paese è ancora gelato, ma l’intensità del freddo è diminuita, e quando i giorni sono più lunghi. Raccoglievo infrattanto delle informazioni sui posti dei Cosacchi che guardavano i confini, sulla protezione che potevo promettermi dalle Autorità cinesi. Conoscevo già da lungo tempo la topografia del paese, che avevo a percorrere per recarmi, sia a Pekino, sia nella Corea, sia alle sponde del mare del Giappone. Insom-