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ad asse inclinata. Bisognava discendervi per una scala interminabile, con rare panche di riposo, — operazione che prendeva un’ora e mezzo, e due ore per salire, e dava agli operaj delle anemie, di cui infine morivano. Alcuni preferivano a questa fatica, quando il potevano, il paniere a minerale, così pericoloso.

Dugento cinquanta minatori lavoravano all’opere diverse dell’interno, sorvegliati da caporali, sorvegliati essi pure da un capitano, e tutti sotto la direzione d’un intendente. La miniera aveva degli strati di rame e di stagno. Io era stato destinato al traforo delle gallerie. La miniera aveva parecchie gallerie laterali e parecchi pozzi negli strati, ove ci recavamo, sospesi ad un pezzo di fievole corda avvolta ad un verricello. L’infiltramento dell’acqua, durante l’inverno, diminuiva moltissimo, e l’acqua gelava appena messa in contatto dell’aria nel serbatoio. La si tirava su allora nel paniere a minerale.

Io non obblierò giammai la prima impressione che mi colpì.

Erano le otto del mattino, quando misi il piede sul primo piuolo della scala del pozzo. Le poche lucerne, che fumigavano nei buchi del muro, servivano a constatare, anzi che rischiarare le tenebre. Sul mio capo, delle ombre che si sprofondavano nel baratro; sotto i miei piedi, degli spettri, ai quali la poca luce, che filtrava dall’alto, esagerava i cenci selvaggi e le proporzioni difformi. Ciascuno si vestiva di ciò che poteva; di brani di pelle di vitello marino o di montone, di lembi della casacca del galeotto. I sembianti erano divenuti orridi. Ogni compagnia era seguita dal suo caporale, armato di scudiscio. Que-