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nella riserva. Gli altri figli non hanno nessun diritto. Mio fratello primogenito, morto poscia in Italia, era al servizio in quell’epoca, e mio padre coltivava il pezzetto di terra, che, durante sei secoli, i nostri antenati si erano trasmesso, pagandolo, ad ogni generazione, col loro sangue e colla loro libertà.

Correva il 1845. Io aveva quindici anni, e vivevo con mio padre, che si era allora ammogliato per la seconda volta, con una giovine nobile slovacca. Il focolare domestico era felice. Mio padre lavorava alacremente. Egli si rispettava molto, aveva un alto sentimento della dignità dell’uomo, qualunque sia il mestiere che esercita, ed un grande orgoglio per la sua origine, malgrado la sua povertà. Egli amava sua moglie, come amano i vecchi vigorosi che non sono corrotti dal vizio. La stimava, perchè la era rispettabile, e perchè la mi amava. C’era una profonda armonia d’anima fra noi tutti, perchè nostro padre, avendo la religione del dovere e della giustizia, ci aveva formati sul suo stampo.

Ahimè! il serpente sguizzò nel nostro povero Eden. Il serpente ama i cespugli fioriti.

Questo serpente si chiamava il colonnello Schaffner — un tedesco.

Un giorno, egli vide mia madre, e se ne innamorò, come se fosse stato un giovine di vent’anni. Nè la sua età, nè la sua bruttezza, nè le sue abitudini di libertino, d’ubbriaco e di carnefice, nè la lealtà ed i doveri di una donna maritata, che rispetta ed ama suo marito, non gli parvero ostacoli. Quel trapezio sgraziato e deforme pretese d’essere amato. Egli impose il suo amore con delle atroci minaccie. Perseguitò, spaventò quella povera donna. Che fare? Stanca