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— Caddi, essendo ubbriaco, in un focolaio ardente, rispose il galeotto.
— Povero uomo, sclamò l’altro. Ora, sai tu ciò che la bontà dello Czar ti riserba?
— Ebbene, che dunque? chiese il forzato.
— Cinquanta colpi di knut, ed il resto, replicò l’aguzzino.
— Li subirò, disse il vor di un’aria rassegnata e maligna. Cosa è ciò? Ma non è dello knut che io mi lamento; gli è del mio onore che s’insulta, dicendo che io sono un vorcorretto.
— Sopporterà desso i cinquanta colpi di knout? dimandai al mio gendarme.
— Prima del ventesimo, e’ sarà crepato. Pertanto quel mariuolo potria bene andare fino a venticinque, se il carnefice non serra troppo il dito mignolo.
— Ecco ciò che mi aspetta, pensai io, se me la scapolo malamente e se mi riprendono! Grazie allo Czar, tra quell’uomo e me non vi è più alcuna differenza: siamo entrambi forzati!
— Andiamo, gridò il mio postiglione; io sono pronto.
Un colpo di frusta, e Irkutsk restò alle nostre spalle. Saliamo sempre, contornando la splendida valle dell’Angara, il livello del lago Baikal essendo più alto di quello della pianura. L’Angara, più larga del Reno, scorre tra due sponde alte a mo’ di falaise, rimboscate di pini e di cedri. La corrente è forte; il colore dell’acqua è turchino. Il paese è coltivato, alla sinistra del fiume; a destra, sono gole profonde e nere e foreste di abeti. L’Angara, allo sboccare del lago, larga più di un miglio, si precipita fra due montagne a picco, allogate lì come i due