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punto come un uragano sibilante, il movimento si estinse, il silenzio successe: taranta, cavalli, uomini erano stati assorbiti dallo stagno, ed i feroci dipteri spigolavano i rimasugli della strage.
A Sektinskaia, uscimmo dalla Baraba, che avevamo traversata per cinquanta ore. La contrada non divenne però più gaia. Noi volavamo sempre in mezzo a quella steppa immensa, ove eravamo entrati a Novozaimsk, non vedendo un’anima che desse indizio di vita fra quelle macchie nere, quelle brughiere e giunchi grigiastri. Arrivammo a Kolivan a mezza notte, e fino a Dombrovino, ove traversammo l’Obi sur una chiatta, la strada conteggiò gli stagni. Qualche figura dal tipo mongolico, qualche casolare popolato di Tartari apparvero qua e là: miseria, lordura, scoraggiamento, impotenza, rassegnazione... Ecco tutto ciò che esprimono quegli uomini, quelle donne, quei fanciulli, coperti di pelli di montoni, cui l’Europa si è abituata a considerare ed a temere con una specie di terrore misterioso.
La Russia è abilissima nel dar le traveggole.
Il paesaggio non cangia fino a Tomsk. Questa piccola città avrebbe una fisionomia affatto europea, se non fosse la collezione completa di tipi siberici, Bouriatti, Kalmuki, Khirghisi, che si incontrano nelle strade. Il quartiere tartaro, all’est, giace sul ToruFonte/commento: Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/376, che taglia a mezzo la città.
Io finivo di prendere il mio pasto nella stazione e rimontavo nella kibitka, quando la strada fu invasa da una gaia partita di nozze, la quale entrava nella casa dirimpetto. Lo sposo era un Russo, appaltatore di lavatoj d’oro e di platino; la giovane sposa, una Polacca, figlia di un esule. Un curioso di-