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teatro, officine, scuole primarie, e tutto ciò che una città incivilita può offrire di confortable, di fastoso, di aggradevole. Avrei potuto simulare una grande stanchezza, una malattia anzi, senza troppe smorfie, poichè io era molto pallido ed avevo l’aspetto d’un tisico senza speranza. Ma non avevo ancora imparato che nella disgrazia occorre esser nobile, ma non fiero. Facevo le mie prime prove. Ond’è che rispondevo a monosillabi, ovvero restavo silenzioso verso i curiosi e le curiose, molto convenienti e pieni di compassione del resto, che ronzavano a me d’intorno, sia che io restassi nella kibitka, o che cercassi ravvivare un po’ le gambe indolenzite negli uffizii delle tappe. I gendarmi m’informarono allora che mio fratello aveva dato loro 200 rubli, onde procurarmi per via tutti gli alleviamenti che potessero, senza compromettersi. E se qualche ufficiale delle stazioni si stupiva della loro premura nel servirmi, essi mormoravano: «Suo fratello è l’aiutante favorito del Granduca Costantino; chi sa dunque?» Non occorreva di più.

Il paesaggio era monotono: steppe e foreste. E poi, lo confesso, io non intendo bene in tutta la creazione, che una sola bellezza, quella della donna! Gli splendori della natura, i prodigi dell’arte, faceano poco effetto su me. Noi abbiamo tutti delle corde che vibrano e delle corde rotte, in quanto alle armonie esteriori. Traversai Viatka di notte. Dormivo nella kibitka come nel mio letto. Le notti erano fredde. Eravamo in settembre, vale a dire al principio del verno per contrade che non conoscono stagioni intermedie. La vallata della Kama non acquista una bellezza affascinante che all’alba ed al tramonto,