Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/161

volontà; io doveva dunque subire, come un corpo inerte, le leggi di gravitazione di tutto il sistema dello czarismo.

Viaggiavamo colla rapidità di 14 chilometri all’ora, che aumentò, anzi che diminuire, fino a Nertscinsk.

La mattina era splendida e calda; tutto sorrideva e cantava. La tensione straordinaria delle mie facoltà, da un mese in qua, si rallentò tutto in una volta, ora che la mia sorte era fissata. Mi accasciai per istanchezza, come un pallone che si sgonfia. Poco disposto naturalmente a conversare, non trovando nulla d’affabile nei miei gendarmi, la cui fisionomia stupida mi urtava; vinto che non si rassegna e che perciò si raccoglie in sè stesso, chiusi gli occhi, e mi addormentai, tessendo nel mio spirito tutto un piano di resistenza legale e di rivolta, se l’occasione mi avesse favorito. La natura esterna, in questi primi giorni di vita interna o di abbattimento, non ebbe alcuna presa su me. Che io vegliassi o dormissi, io era assente. Non principiai ad aver coscienza di me stesso se non quando, dopo aver traversato Minsk, Smolensk, Mosca, i tre cavalli della kibitka si lanciarono in contrade, ove io non aveva ancora viaggiato, e che perdevano, di tappa in tappa, la fisionomia europea. Le strade erano detestabili, perchè la via ferrata le faceva negligere. Vladimir, che traversammo in mezzo alla nebbia dell’alba, mi parve desolata. Nijni-Novogorod aveva l’aspetto di una decorazione d’opera. Sospesa quasi a picco sul Volga, essa si aggruppa sopra un’altura ove alcuni precipizii, uniti da ponti, limitano i quartieri della città. La città nuova è sulla riva diritta di questo fiume, che mette in comunicazione