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— L’ho dimenticata; ve la porto...

La porta si rinchiuse.

— Non toccate la carne, prima che v’abbiano portato l’acqua, disse Zoliwski. Questa dimenticanza è forse premeditata. Vogliono farvi fare le vostre prime armi nella tortura, provandovi colla sete.

Non toccai nè la carne, nè il pane. Il carceriere non ricomparve.

La notte era già avanzata, quando l’ispettore della prigione venne ad annunziarmi la visita di mio fratello Casimiro.

— Non ho fratello, risposi io con fermezza, quantunque il cuore mi si serrasse; non voglio riceverlo.

Mio fratello seguiva a due passi l’ispettore. Udì la mia risposta, e non rispose. Scorsero due minuti o tre. Forse ei rifletteva, esitava; poi udii il tintinnio dei suoi speroni risuonare lentamente ed allontanarsi. Piegai il capo fra le mani, ed i miei occhi si inumidirono.

L’indomani non fui chiamato dinanzi alla Commissione dello stato d’assedio, e ne seppi più tardi la ragione. Il granduca Costantino, il quale non era poi un diavolo così nero come lo si è voluto dipingere, era stato informato del mio interrogatorio e della spiegazione umoristica che io aveva dato sul documento principale dell’istruzione contro di me: lo scritto in cifra! Il granduca aveva sorriso della gherminella, che io giuocava alla giustizia russa, ma aveva, in pari tempo, ordinato che una Commissione di calligrafi emettesse la sua opinione su quel curioso geroglifico. Nondimeno, mio fratello era spaventato, non della sorte finale che mi aspettava, non dubitando punto che io saprei morire, ma delle sofferenze orribili che