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di fare per lo meno gridare queglino che non vogliono parlare.
— Signor presidente, io parlo; ma non è colpa mia, se non posso accettare il linguaggio che m’imponete.
Mi ricondussero alla mia secreta. Era mezzogiorno. Vi ho detto che quel buco non aveva altra apertura che un piccolo abaino praticato nella porta, pel quale filtrava un’aria mefitica e la luce d’una lanterna, accesa notte e giorno all’altra estremità del corridojo. Restai in piedi dietro quel finestrino, onde respirare quant’aria potessi, perocchè mi sentivo venir meno. Allora udii un lagno nel carcere, e mi accorsi che non ero solo.
— Soffoco, disse la voce; di grazia levatevi di là.
— Scusate, sclamai, non sapevo di avere acquistato un compagno.
Impossibile distinguer altra cosa che un mucchio di stracci di carne umana tritata, accovacciato in un angolo. Scambiammo i nostri nomi. Ci eravamo conosciuti in società. Tutta la Polonia conosce i suoi poemi. Era il poeta studente Zoliwski, arrestato dopo la manifestazione del 15 ottobre, e torturato, perchè anch’egli sospetto di appartenere al Comitato. Aveva già presi due bagni di sangue, essendo passato due volte per le verghe. Le sue ossa erano rotte, la sua carne cadeva a brani; il corpo non presentava più che una piaga putrescente. Agonizzava, senza poter morire, e si vedeva morire! Il carceriere interruppe la nostra conversazione. Ci portava il pasto: del pane, della carne salata, ed una sola brocca d’acqua per Zoliwski.
— E la mia brocca? chiesi io.