Pagina:Petruccelli Della Gattina - Le notti degli emigrati a Londra, Milano, Treves, 1872.djvu/148

La ragazzina aveva quindi rotolato la parte scritta della carta a foggia di zigaretto, e l’aveva, a mia insaputa, cacciata nella tasca della mia tunica, ove era rimasta sotto la pezzuola. Dopo la mia ferita, frugando nelle mie tasche, quello stoppino era stato trovato, era stato svolto, ed avevan veduto lo strano geroglifico. «È uno scritto in cifra!» aveva probabilmente esclamato il commissario incaricato dell’istruzione del mio processo. E come tale, ei l’aveva inviato fra le carte a mio carico. Da uno scritto in cifra all’esser membro del Comitato, ci correva certo un vasto spazio. Ma vi è nulla di comparabile alla miracolosa velocità d’immaginazione d’un giudice d’istruzione che ha già un partito preso?

La mia ilarità sconcertò ed offese il colonnello.

— Si può conoscere la causa di codesta gaiezza? disse egli lentamente.

— Ma non vedete, signore, che codesti sono gli sgorbi d’un bimbo, che vuole scimmiottar la scrittura?

— E chi è il bimbo che l’ha fatti?

Tacqui. Ero preso. Dovevo io nominare la figliuola della mia amica? Avrei scatenato la tempesta su quella povera famiglia, già tanto provata dalla sventura, poichè due dei suoi giovani erano morti, uno era prigioniero, e il quarto si batteva ancora. Il mio silenzio cangiò il dubbio in convinzione: io era membro o emissario del Comitato! Io era dunque la prima luce che poteva guidarli, onde scandagliare quell’abisso di tenebre che metteva in iscompiglio il Governo dello Czar.

L’onnipotenza di quel Comitato, cui tutta una nazione conosceva forse e nessuno tradiva, al quale tutti obbedivano, che agiva come la folgore, e maneggiava a suo grado l’anima nazionale, stordiva