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La kibitka si arrestò dinanzi la cittadella. Io aveva tutte le membra intirizzite. I gendarmi mi presero nelle loro braccia, e mi portarono. Fui deposto prima in una specie di sala di cancelleria del colonnello, comandante della cittadella. E’ fu avvertito del mio arrivo. Infrattanto mi perquisirono, onde non perdere l’abitudine; perocchè sapevano bene che altri avevan dovuto compiere quella formalità parecchie volte prima di loro. Il colonnello arrivò subito, ed il capitano Krünn s’intrattenne con lui alcuni istanti, parlando a voce bassa e consegnandogli una filza voluminosa di carte.
Il colonnello m’interrogò. La sua voce tradiva la collera, ma egli si sforzava di conservarsi calmo. Risposi a monosillabi, ovvero mi tacqui. Il mio nome fu scritto sopra un registro. Credetti udire il colonnello chiedere al cancelliere se restasse ancor vuota una cellula. La risposta fu negativa. Si consultarono, poi fu pronunziato un numero, ed i soldati mi trasportarono attraverso un dedalo di corridoi. La domanda di essere liberato dalle manette mi corse più volte alle labbra; ma per timore di un rifiuto, m’astenni di emetterla. Fu quindi in tale stato che mi deposero in una muda, in fondo ad un corridoio, donde l’avevano tagliata fuori, chiudendolo fino alla vôlta con un’immensa porta munita di un abbaino.
È stato molto scritto e detto contro le prigioni russe. Esse non sono nè più nè meno atroci di quelle dell’imperatore Francesco I d’Austria, e del fu re di Napoli Ferdinando. Vi sono così orride rivelazioni da fare contro la Russia, che l’esagerazione diviene inutile, e disonora chi se ne serve. Fui