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consolida le tirannie, è la mancanza di abitudine nel sopportare il dolor fisico; è lo sbigottimento subito, che ci colpisce in presenza dei fenomeni, dei fatti morali. Abituare il corpo alle sofferenze e lo spirito ad ogni sorta di urto, gli è rendersi padroni del timone della vita.

— La prospettiva che vi si apre dinanzi, ci disse nostra madre, quando apprese come era morto nostro padre, si riassume in questo: morire combattendo; morire sopra un patibolo, o sotto il knut; perire in Siberia. Non c’è esempio che un conte di Lowanowicz sia morto per la mano di Dio. Bisogna dunque prepararvi, non già alla morte, che non è nulla, ma a subire con sguardo sicuro, con cuore virile, le ansie terribili che la precedono.

L’educazione, che ella ci diede, fu dunque conseguente a questo programma.

Non parlo dell’istruzione. Fu quella che gentiluomini ben educati dovevano avere, e potevano ricevere nelle Università tedesche e completare viaggiando. Rammento soltanto che, a quindici anni, noi eravamo maestri consumati nel maneggio d’ogni sorta d’armi; che potevamo dormire a cielo scoperto tutta una notte, succintamente vestiti, con venti gradi di freddo; che potevamo restare, senza alcun incomodo, tre giorni a digiuno; che potevamo ricevere qualche colpo di knut senza muover palpebra; che nessun lavoro materiale penoso ci ripugnava; che conoscevamo la geografia del Caucaso, dell’Oremburgo e della Siberia, e diversi dialetti di quelle contrade, come si conosce la propria casa e la propria lingua. Ci eravamo dunque famigliarizzati con tutte le cose impreviste. Eravamo preparati alla