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E l’opera del carnefice incominciò.

Luigi Batthyany, primo ministro ungherese, fu trascinato dinanzi un Consiglio di guerra austriaco.

— Io sono Ungherese, e non posso essere giudicato che da Ungheresi, sclamò egli.

Fu condannato a morire di corda, pei suoi atti politici. Tentò di suicidarsi, e vi riescì per metà. Lo fucilarono per finirlo.

Ciò accadeva a Pesth.

Ad Arad, i generali Ernesto Kiss, Schweidel, Dessewffy e Lazar vennero pure fucilati, per grazia particolare di Haynau. I generali Török, Lahner, Knezich, Pöltenberg, il conte Vecsey, il conte Leiningen, il colonnello Lazar furono impiccati.

Hodie mihi, cras tibi! sclamò il formidabile Nagy-Sandor, al momento in cui il carnefice gli passava la corda al collo.

E fu impiccato.

— Io aveva, per ordine del re, giurato fedeltà alla Costituzione, e dovetti restar fedele al mio giuramento, disse Aulich, rivolgendosi al pubblico, come s’era vòlto ai giudici, nel momento che il carnefice gli aggiustava al collo il nodo fatale.

E fu appiccato.

Damjanich, che aveva rotta una gamba, condotto ultimo, sopra un carro, al luogo del supplizio, gridò con inesprimibile dolore:

— Io che era sempre il primo dinanzi l’inimico, arrivo qui dopo tutti gli altri!

E fu appiccato.

Era il tredicesimo. Di già Windischgraetz aveva fatto appiccare il comandante dei cacciatori tirolesi, il capo della legione tedesca, Szöll, il generale Lazar, il colonnello Nadosy.