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rotto, sconvolto, fece avanzare la riserva russa. Di un tratto, il fuoco ungherese si estingue. Mancano le munizioni. Bem ordina la ritirata. Scende la notte.

Ci eravamo impegnati in una stretta nel mezzo d’un bosco, ove i nostri distaccamenti si confondevano gli uni cogli altri, sfiniti, affamati, non avendo mangiato fino dal giorno innanzi. Dei nugoli di Cosacchi ci seguivano come corvi, raccogliendo tutti quelli che restavano indietro, ritardando la nostra marcia, obbligandoci ad ogni istante di far fronte per respingerli. Bem, con un pugno di ussari che io comandava, e col battaglione del principe Nyraczi, copriva la ritirata. In un istante, l’avanguardia, sbucando da una stretta fra due avvallamenti di colline, si trovò di faccia all’inimico, — il corpo di Lichtenstein, che Bem aveva voluto evitare, cessando la lotta. Un fremito straordinario côlse il nostro esercito. Bem si slanciò in avanti per prendere la testa dell’avanguardia, ma per un indietreggiare delle file anteriori, il suo cavallo s’impennò, e cavallo e cavaliere caddero rovesciati. Mi precipitavo in suo soccorso, quando un lungo grido dietro di noi mi annunziò un altro pericolo. Guardai: il battaglione del principe Nyraczi era intieramente ravvolto in un turbine di Cosacchi, come un giallo d’uovo nella sua albumina. In mezzo ai volontarii, o piuttosto alla loro testa, si trovava Amelia.

La scôrsi da lontano, al crepuscolo della notte che sorgeva dal piano, vestita da amazzone, fieramente rizzata sugli arcioni, sciabolare i Russi. Ella aveva perduto il suo kalpak di velluto celeste guarnito di cigno, col pennacchietto di perle, ed il suo dolman