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— Come ha detto Galeno parlando di Cabanis, rispose Bruto umilmente.

— Precisamente, disse il dottore. Vedo che sapete già. Sta bene, don Noè; tengo vostro nipote e ne farò un uomo. Gli leverò il pregiudizio di ragionare in medicina come quei saccentelli che portano mustacchi, e pongono il libero arbitrio perfino nella teoria della flogosi: sono i carbonari, i settarii della Giovine Italia della scienza. In medicina, come in teologia, ricordatevelo, caro ragazzo: Sola fides sufficit. A rivederci, don Noè. Raccomandatemi ai clienti. Voi restate, giovinotto. A proposito, come vi chiamate?

— Bruto, ai suoi comandi, signor dottore.

— Benissimo, affrettatevi, don Bruto; vado a vestirmi e cominceremo la pratica da questa mattina alla visita all’ospedale.

Bruto restò nel salotto, mentre il dottore si vestiva. Don Noè se ne andò. Don Ciccio, il servo del dottore, lo seguì fino al primo piano, poi rimontò tutto ansante esclamando:

— Niente! non ho potuto cavargli che la promessa di pregare alla messa, perchè io guadagni al lotto. È la fine del mondo.

Il dottore ritornò. La carrozza era pronta e si recarono all’ospedale.

Non seguiremo il dottor Tibia ed il suo allievo nella lor visita: sarebbe troppo straziante. Vale forse la pena di occuparsi di quella carne da esperimenti.

D’altra parte gli aspiranti ai letti vuoti dello stabilimento s’affollavano al di fuori e allungavano le mani come anime dannate a cercare