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amava il profumo di muffa, come Goethe quello dei pomi marci.

A quei dì un medico elegante era un fenomeno.

Quando l’ex-ballerina ebbe finito di raccontare la sua malattia al dottore, questi, ravvolto in un mantello verde che gli teneva luogo di vesta da camera, il capo coperto da una berretta di seta nera, il viso fiorente e ben sbarbato, fece la sua entrata nel salotto.

Diede un buon giorno sonoro e collettivo, non avendo tempo da perdere. Tutti si alzarono. Con una rapida occhiata il dottore aveva osservato che nessuno di queglino che aspettavano aveva bisogno di cortesie speciali. Il dottor Tibia era il Lavater del borsellini. Ascoltò un signore e gli rispose a voce bassa; poi si volse con premura verso una dama che veniva per pagarlo e l’accompagnò fino alla porta.

— E voi? chiese egli continuando il suo giro ad un povero diavolo, magro, giallo, sporco, il ritratto della avidità.

— Dottore! da cinque giorni ho dei dolori allo stomaco intollerabili.

— Per Giove! è la gotta che si getta allo stomaco.

— Ma io non ho mai avuto gotta, dottore. Sono paglietta e cammino in un giorno più che la posta reale in un mese.

— Sono, dunque, gli stomacali.... dolori di stomaco, capite? Che diamine! Decotto di chinina con tintura di gluton.

— Avete comandi a darmi?

— Una preghiera; pagatemi il consulto.