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— Ma dimmi, Marchionni, hai voglia di scherzare oggi, eh?

— Per tutti gli déi d’Omero, no. Qui, come in Francia, e tu lo sai bene, infierisce la questione fra i classici ed i romantici. Tutto dipende, dunque, da un lampo d’intelligenza del pubblico e dalla maniera con cui la produzione sarà rappresentata. Se il pubblico indovina l’ironia abbiamo un successo frenetico. Se prende la cosa sul serio, avremo un fiasco senza esempio nella storia del teatro.

Ippocrate fu rappresentato.

Il teatro era zeppo; gli attori non erano troppo cattivi. Vi era inoltre una giovane esordiente, di cui si diceva molto bene e si aggiungeva che era sorella, fidanzata, o altro che fosse, di uno dei due autori, allieva della Tessari, e sull’avviso si chiamava Lena Minutolo.

Marchionni aveva colpito giusto. Ciò che era stato offerto come dramma dagli autori, fu ricevuto come farsa dagli spettatori. Fu un parossismo di ilarità, che durò tre ore. Bruto e don Gaetano si guardavano in faccia stupefatti. Non ci capivano più nulla. Il dolore che, secondo essi, doveva spremere la glandula lacrimale, metteva invece in sussulto il diaframma.

Non analizziamo questa produzione, di un interesse così vivo e attuale in quel tempo, in cui il classicismo era divenuto un istrumento di Chiesa e di Stato.

Quando gli ambasciatori dell’imperatore di Prussia si presentarono dinanzi ad Ippocrate, che gustava deliziosamente un bicchierino e leggeva la Gazzetta di Luca nel caffè Martini