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Bruto: la meditò un poco più seriamente che non solesse fare nel teatro di Donna Peppa.

Tutti e due misero al giorno un mostruoso scenario. Bruto, il più letterato dei due, don Gabriele non sapeva neppur leggere, si prese l’incarico di scrivere la cosa. Aveva una musa che lo tallonava. Era ispirato da quella foga d’idee che invade il cervello, quando le idee sono il vapore del cuore.

Suo zio, che lo vedeva scrivere dalla mattina alla sera e dalla sera al mattino, gli chiese di che diavolo imbrattava tanta carta; era a mille miglia dal sospettare la verità.

— Mi preparo agli esami, rispose don Bruto, ed espongo le domande e risposte, le malattie del peritoneo.

— La malattia di don Noè, esclamò ingenuamente Tartaruga, segnandosi e portando la mano al naso.

Il sagrestano si tranquillò. Bruto finì il dramma, lo trascrisse sopra una bella carta color pistacchio e lo lesse a Don Gabriele. Questi fece alcune osservazioni, alle quali Bruto oppose l’arte poetica di Aristotile e il tutto parve magnifico.

Ma la via crucis cominciava appunto allora: la rappresentazione.

— Prima di tutto, disse don Gabriele, bisogna che vi vestiate un po’ più decentemente. Col vostro abbigliamento, si vedrà che siete un povero diavolo e quindi buono a nulla.

— Pur troppo sono un povero diavolo, sospirò Bruto. Ahimè!

— Ragione di più per non parerlo. Vi presenterete, poi, al direttore del teatro, onde avere il