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dell’alta Italia, molto vecchia, che aveva presso di sè una giovinetta di una sedicina di anni che la serviva. Questa ragazza era entrata nel convento all’età di tre o quattro anni. Ella si ricordava appena di aver viaggiato diversi giorni in carrozza con un’altra donna e non seppe mai dare altre informazioni di sè. La polizia sospettò che fosse parente di quella vecchia religiosa.

“Era Giuseppina, la quale si fece poi chiamare Tortora, non saprei dirvi perchè. La vecchia monaca si chiamava suor Serafina nel convento, e Giulietta Aldossi al secolo. Soppresso il convento, suor Serafina e Giuseppina presero in affitto una stanza a San Giuseppe dei Nudi e vissero insieme della pensioncella della monaca, di un po’ di denaro che aveva messo da parte e del prodotto dei ricami che Giuseppina eseguiva per alcune dame restate in segreto fedeli ai Borboni.

Qui Fuina si è permesso d’interrompere il conte ed ha esclamato:

— I fedeli restano sempre nell’ombra; i ribelli soli hanno il coraggio di confessare ciò che sono e si fanno impiccare.

Il conte lo ha fissato fra i due occhi e, senza rispondergli, ha continuato:

— Le due donne vissero così, onestamente, per alcuni mesi. Ma rimpetto a loro abitava un giovane ufficiale di cavalleria, che aveva perduto un braccio e di cui è inutile aggiunger altro.

— Scusi, signor conte, ho detto io; non sarebbe egli il sergente Pietro Colini, soprannominato Sacco-e-Fuoco?