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immobili non aspettassero che il segnale di un mago per istaccarsi dalle pareti, vivere, muoversi, principiare una danza fantastica di gnomi, di lemuri, di silfi mascherati.

V’erano tutti i personaggi della commedia sociale, dall’invenzione extra-umana, da Pulcinella a Cesare, da Colombina al diavolo, da Pagliaccio alla Vergine Maria; il birro e l’angelo; il grande di Spagna e il mal ladrone, il gendarme e il gesuita, la fanciulla ingenua ed il burbero tutore, Giuditta e la sua vecchia ed anche il capitano svizzero che rappresenta Oloferne.

Poi dei genii alati, delle fate, delle ballerine, degli spettri, dei terribili assassini armati di trombone. — C’era lì la storia della vita, la leggenda, la favola, la follìa, la storia sacra, le miserie della pubblica piazza, le delizie dei sogni di vent’anni. Pist! e tutto vola nell’aria, canta, freme, grugnisce, rugge di collera; è spuma del mare, ala di uccello, contorsione, scoppio di riso — una palpitante visione di hascis, o un pesante incubo di vino di Calabria.

Bruto subiva questa specie di vertigine da dieci minuti, quando l’abitante della stanza entrò serio, recando una manata di legumi. Egli gittò uno sguardo su Bruto, che si alzò ma senza far motto e corse alla pentola donde l’acqua scappava via nell’ebollizione e spegneva il fuoco. Bruto, confuso, distratto e spinto da un bisogno istintivo di dire alcun che, dimandò:

— Siete voi Giuseppina Tortora?

L’uomo, interpellato così, volse vivamente il